After Earth - La Recensione

Scordatevi di andare a vedere “After Earth” con la speranza di ritrovare finalmente un M. Night Shyamalan ad alti (o medi) livelli. Quel regista oggi è definitivamente scomparso, colui che agli esordi si proponeva come talento imprevedibile e spiazzante adesso è finito sepolto e paralizzato vittima di un produttore dal nome pesantissimo come Will Smith, che lo usa malamente per fargli firmare una sua idea con l’unico scopo di favorire l’ascesa cinematografica del figlio Jaden.

Dovessimo immaginarlo in maniera fantasiosa, in questo momento Shyamalan lo rappresenteremmo immobile e in fin di vita, proprio come il personaggio di Smith Sr. nel "suo" ultimo film. "After Earth" per il regista indiano va a segnare probabilmente la morte artistica, lo annienta, lo fa scomparire dietro la macchina da presa neanche fosse l’ultimo anonimo disponibile sulla faccia della terra, esecutore di un progetto dove la sua impronta non si lascia percepire minimamente andando quasi a confermare la momentanea impossibilità di agire e di decidere. Le doti di un regista che prometteva di avere moltissimo da dire (mentre già lo diceva benissimo) oggi appaiono esaurite e soffocate, regredite a tal punto da riuscire a malapena a tener saldo un racconto assai semplice e ordinario.

Nonostante ciò, un aspetto continuativo di quando ancora il suo cuore batteva, seppur già a fatica, lo possiamo identificare anche in questo frangente, a conferma del miraggio che la sua mente non sia ancora totalmente congelata e impotente. Shyamalan tenta di utilizzare lo spunto di Smith infatti per continuare quel discorso relativo all'uomo e al danneggiamento insistente che questo prosegue nei confronti dell'ambiente, e quindi del pianeta, ma se in "E Venne il Giorno" questo accadeva provocando la successiva ribellione della natura, adesso le speranze di reazione si abbassano vertiginosamente e la negatività si amplifica costringendo la terra alla quarantena e la razza umana al trasferimento su un pianeta alternativo (abitato da alieni assassini).

Anziché approfondire questa dinamica però "After Earth" si annoda testardamente su se stesso, senza trovare mai la via per slegarsi da quei nodi che non fanno altro che distaccare lo spettatore da qualsiasi sorta di coinvolgimento. Ostenta filosofie fiacche sulla paura e, ancora peggio, instaura un rapporto padre-figlio che sa di già visto collocandolo in un contesto in cui gli esseri umani utilizzano un linguaggio breve, conciso ma tecnologicamente riconosciuto. La freddezza dei rapporti si estende allora fino a congelare la pellicola stessa, che fallisce contemporaneamente così sia la carta dell'intrattenimento leggero rappresentata dall'azione e sia quella della fantascienza scenografica.

Ma accanirsi su "After Earth" sarebbe comunque piuttosto semplice e troppo ingrato, la vera domanda da porsi è quella che aiuti a comprendere il motivo per cui un personaggio della caratura di Will Smith - da cui ci si aspetta un tasso di intelligenza e impegno maggiore - continui a spendersi in progetti che appaiono interessare sempre più solo a lui che al pubblico. Che voglia restituire al figlio un’eredità simile alla sua oramai l'abbiamo capito, ma la collaborazione con Shyamalan sprecata in questo modo, e sottovalutata, equivale più al naufragio inevitabile di entrambi condiviso mano nella mano per distribuirne il dolore. Dispiace soltanto allora che a pagarne le spese maggiori sia alla fine un regista spaesato e un adolescente innocente, che nello schianto, stavolta, son coloro che si prendono la peggio.

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