La Memoria del Cuore - La Recensione

Secondo Leo -il protagonista interpretato da Channing Tatum in “La Memoria del Cuore”- esiste una teoria per la quale ogni vita è definita da momenti di impatto.
Un momento di impatto è quell'occasione in cui hanno origine possibili cambiamenti portatori di effetti diversi, lontani da quelli previsti.
Semplificando, un momento di impatto è un qualcosa in grado di ribaltarti la vita, e per Leo equivale al tamponamento subito in macchina dopo una serata al cinema con la moglie colpevole di avere azzerato la memoria di lei e di averla riportata cerebralmente a quando ancora non conosceva il marito, cancellando, di fatto, ogni singolo attimo della loro appassionante storia d’amore.

Momenti, impatti.
Piccolissimi frammenti capaci di modificare in maniera gigantesca l’andamento dell’intero universo.

Ma nella pellicola diretta da Michael Sucsy, tratta da una storia vera, l’unico universo costretto a subire cambiamenti e a scuotersi è quello appartenente al povero Leo: prima turbato dal risveglio di Paige che lo identifica come uno sconosciuto, poi caparbio nello sperare che il tempo basti a ripristinarle la memoria e infine tenace nel comprendere che l'unica via da percorrere per sistemare le cose è quella della riconquista.

Cosi "La Memoria del Cuore" impiega pochissime battute per diventare un melò a tutti gli effetti, sostenuto da una coppia di attori funzionali alla causa e da una sceneggiatura attentissima a non scivolare mai nello zuccheroso, nello scontato e nel ridicolo, eseguendo il suo compito egregiamente senza l'ausilio di alti ma priva di moltissimi e rischiosissimi bassi. A condire il racconto, e ad affiancare egregiamente il già citato Channing Tatum e l’altra protagonista Rachel McAdams, un cast di contorno composto da Sam Neill e Jessica Lange, rispettivamente il padre e la madre di Paige tornati a prendere la figlia per riportarla a casa, abbandonata in passato dalla ragazza a causa di uno spiacevole episodio dimenticato in seguito al tragico incidente.

Sucsy non perde tempo per affermare che ogni essere umano è la somma dei momenti che ha vissuto, degli eventi inaspettati responsabili di aver alterato il corso della sua vita, e che di conseguenza anche solo la perdita di una parte di questi momenti può bastare a ridefinire radicalmente l’esistenza di un intero individuo. Il suo presupposto però è un preludio rivolto a rinforzare un secondo concetto, il fondamentale, e cioè che per ritrovare noi stessi, quella di fermarsi e aspettare non è l’unica strategia disponibile poiché basta ricominciare a camminare dal punto in cui ci è stato permesso di ripartire per renderci conto che i percorsi che abbiamo intrapreso non sono stati il frutto della casualità.

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